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mercoledì 2 aprile 2014

Serie A, c'era una volta il campionato più bello del mondo





Il campionato di calcio di Serie A che andrà a concludersi il prossimo 18 maggio, potrebbe essere ricordato come uno dei tornei meno competitivi della storia recente del nostro calcio.

Che la serie A abbia perso “appeal” è cosa nota: il lato economico ha preso il sopravvento sul prestigio delle squadre, e i grandi nomi prediligono i campionati esteri al nostro, dove ancora ci sono i magnati russi o arabi pronti a investire.

I grandi acquisti da noi sono oramai i parametri zero (chiedere al Milan) o giocatori sulla via del tramonto.

Certo, l’acquisizione da parte di Thohir dell’Inter, o la presenza degli americani nella Roma potrebbero far pensare a un’inversione di tendenza (ci crediamo poco) anche se è sempre difficile attrarre grandi investitori stranieri nel nostro paese, per una serie di motivazioni: burocrazia opprimente, stadi fatiscenti, crisi imperante e costi insostenibili, e poi, sportivamente, anche l’eccessivo clima di tensione che si respira negli ambienti sportivi, con l’ossessione della vittoria che svilisce lo spettacolo.

Tra l’altro molte società trascurano i settori giovanili per andare a fare calciomercato nei più impensabili e sperduti posti del mondo calcistico, anche se fortunatamente, negli ultimissimi anni, questo aspetto sta tornando di attualità, vuoi anche per la crisi economica che impedisce di spendere.

E tutto ciò si traduce in una scarsa competitività generale, come dicevamo in apertura, anche se la combattività non manca.

Lo scudetto che la Juventus si appresta a vincere (salvo cataclismi, e già i tifosi bianconeri possono fare tutti gli scongiuri del caso, eheh) riguarda un campionato che quest’anno in particolare è contrassegnato dal non gioco e dalla stanchezza.

La stessa Juve, protagonista fin qui di un cammino straordinario in Italia, stenta in Europa, e l’eliminazione dalla Champions brucia ancora, nonostante il contentino dell’Europa League.

La competitività del nostro calcio, infatti, si misura in rapporto agli altri campionati principali (Germania, Spagna, Inghilterra, e adesso anche Francia) e il confronto è impietoso: tra Champions ed Europa League, è rimasta solo una squadra italiana ancora in gioco (la Juve, per l’appunto, ma nel trofeo meno importante) mentre le altre, chi prima e chi dopo, hanno salutato il calcio che conta anzitempo.

La distanza con le big europee adesso sembra davvero abissale, e chissà quanto tempo ci vorrà prima che questo “gap” possa essere, se non colmato, quanto meno ridotto. 

Sono insomma lontani gli anni ’80 e ’90, dove le nostre squadre facevano man bassa di trofei, o comunque arrivavano sempre in fondo. Emblematico, ad esempio, il 1990, dove Milan, Juventus e Sampdoria trionfarono rispettivamente in Champions (allora ancora denominata Coppa dei Campioni), Coppa Uefa e Coppa delle Coppe. Avessimo vinto quell'anno anche i Mondiali giocati in casa (e per pura sfortuna andò male), sarebbe stata l’apoteosi.





Certo, è pur vero che negli anni 2000 tre Champions sono state  vinte (2 dal Milan e 1 dall'Inter), ma quelle vittorie possono essere considerate come il "canto del cigno" di un calcio italiano già malato da tempo, un ciclo che si stava chiudendo e i fatti attuali stanno confermando, purtroppo, quelle sensazioni.



Ma l’effetto collaterale della scarsa competitività della Serie A si manifesta anche se si osserva la lotta per non retrocedere, infatti il problema che lascia perplessi è il seguente: dopo 31 giornate basterebbero 26 punti per salvarsi, una media ben al di sotto del punto a partita e che, pur tenendo conto della fisiologica accelerazione di fine stagione, vorrebbe dire restare nel massimo campionato raggiungendo quota 35, con buona pace di chi negli anni passati ha dovuto salutare la Serie A nonostante 40 punti in cascina. 

Un cammino a passo di gambero che sta trasformando la lotta per non retrocedere in una vera e propria tragedia greca in cui la vittoria è sempre più un evento eccezionale.

Quali soluzioni? Tanti sono i problemi e, come dicevamo, non è facile invertire la rotta in men che non si dica. 

Di una cosa siamo certi: in Serie A siamo in troppi! Le tante partite che si giocano nel nostro torneo a 20 squadre non favoriscono la competitività di quelle impegnate in Europa, squadre di per sé che già sono poco competitive. Lunghi cicli di gare ogni tre giorni le fanno arrivare con una condizione fisica tutt'altro che ottimale.

Bisogna, a nostro avviso, tornare indietro. Fino agli anni ’80 la Serie A era addirittura a 16 squadre. Una Serie A con 16 squadre aumenterebbe di parecchio il livello medio del torneo, ma sembra al momento una soluzione difficilmente attuabile, 18 allora è il più raggiungibile compromesso. Di annunci, in questo senso, ne sono stati fatti diversi, ma serve che in Lega ci sia una personalità forte che cominci a mettere seriamente in agenda questo problema. 

In un campionato di Serie A come il nostro, che non è più sul podio delle migliori leghe europee, avere ancora 20 squadre è un lusso che non ci si può permettere.



G.D.M.85

2 commenti :

  1. Sono pienamente d'accordo con quanto espresso nell'articolo. Eccetto per una cosa, che il Milan di acquisti a parametro zero non mi risulta ne abbia fatti... Per il resto è tutto vero, la Serie A non è più il campionato più bello del mondo!

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  2. Peggio ancora allora! Il Milan ha acquistato pippe, pagandoli pure, ihihih....scherzi a parte, i parametri zero e i prestiti sono: Kakà (l'unico decente), Essien, Taraabt, Rami, Essien, Silvestre, senza contare le schiappe arrivate lo scorso anno ...se non cambiano modo di gestire il calciomercato, il Milan finirà sempre più in basso

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